SABATINO ABAGNALE E IL SUO “MIRACOLO DI SAN GENNARO”

In Campania c’è un mare unico e una terra unica. I pelagici del golfo sono incredibili. La terra è totalmente vocata alla specialità agricola. Solo in campania ci sono 780 prodotti d’eccellenza, unici, che non si trovano da nessun’altra parte. Le acciughe di Menaica, gli oli e le olive, la pasta di Gragnano e…I pomodori. L’estate del 2019 sono sceso a Sant’Antonio Abate per scoprire l’azienda agricola di Sabato Abagnale, vale a dire il luogo dove cresce l’antico e vero Pomodoro San Marzano che abbiamo la fortuna di poter impiegare per condire le nostre pizze. Sabatino, tra l’altro, coltiva anche un’altra specialità partenopea: il Carciofo Violetto di Castellammare di Stabia, un altro tra i nostri ingredienti preferiti, ma approfondirò la questione in un altro articolo. Da napoletano, ma soprattutto da ristoratore, voglio dire che mi sento veramente orgoglioso di collaborare con persone come Sabatino, persone che lavorano per creare realtà sostenibili ed eccezionali. Quindi voglio ringraziare Sabatino e i suoi collaboratori per i loro prodotti d’eccellenza e per la tenacia con cui portano avanti la loro filosofia unica. 

Sabatino, com’è nata la tua storia col San Marzano?

È il 1999 quando una mia cugina – responsabile di Slow Food – era in cerca di un pomodoro San Marzano sul territorio. Diceva che era introvabile e io non capivo. Alla fine un San Marzano lo trovavi pure facilmente, diciamo così, ma mia cugina diceva che non si trattava di “vero” San Marzano. Quindi siamo andati alla ricerca di questo pomodoro antico e abbiamo avuto la fortuna di incontrare un vecchio contadino che lo tirava ancora su come si deve: Zio ‘Ngiulillo. All’epoca aveva 84 anni. Dal primo momento mi è parso un pomodoro diverso, un pomodoro del territorio, napoletano, di un rosso vero. E poi aveva un profumo…Un’altra storia proprio. Vedendo il vero San Marzano di una volta abbiamo deciso di riportarlo alla luce, o meglio, in tavola. Quindi, con l’aiuto di Zio ‘Ngiulillo, io e la mia azienda siamo nati, con pochi grammi di semi e mille metri di terra. Poi man mano, vicino a me e Zio ‘Ngiulillo si sono affiancati i giovani. Abbiamo dimostrato anche a loro la soddisfazione di lavorare la terra (cosa che se fatta con cura e dedizione non è faticosa come lo era tanti anni fa). Questo pomodoro è tornato a vivere grazie a questa associazione, a chi ci ha creduto. E adesso, dopo tutti questi anni, persino il direttore della banca mi invidia il lavoro. Cose da pazzi, lui sta seduto sulla sedia mentre io sto otto ore con le mani nella terra…Eppure. Anche quando ospito amici e collaboratori, tutti vorrebbero cambiare mestiere e fare quello che faccio io: coltivare questo pomodoro. È una soddisfazione.  

Conoscerti e vedere i vostri spazi mi ha fatto tornare ragazzino. Cioè, per come prepari il pomodoro…Sembra veramente un lavoro fatto in casa. La macchina per passare il pomodoro è la stessa che usava mia madre quando ero ragazzo…

Io non ho fatto altro che copiare quello che si faceva qui una quarantina di anni fa. Per questo il nostro metodo di lavoro non è nemmeno lontanamente accostabile al metodo industriale. Produciamo la quantità giusta di prodotto, commerciamo la quantità giusta di prodotto e in più diamo la certezza di un prodotto sano. Conosciamo ogni pomodorino da quando è nato fin quando arriva al vasetto, potremmo addirittura dargli un nome. Quattro persone lo raccolgono, sei persone lo preparano e altre sei persone lo commerciano. Fine. Semplice. E non c’è fretta. Aspettiamo, piano piano. I pomodori li raccogliamo in maniera naturale, solo quando sono pronti. Facciamo 30 cassette al giorno di pomodoro, se ci va bene. Niente di più. Oggi, per dire, abbiamo fatto 26 cassette, ma non cerchiamo l’accelerazione, non abbiamo ansia di prestazione o alcuna voglia di affannare il terreno. Sul terreno bisogna avere cura di ogni produttore, di ogni lavoratore e di ogni pomodoro. Nessuno lavora in intensività, qui da noi.

E questo è un dramma, in effetti…Quello delle coltivazioni intensive intendo…

Guarda, non per tirare fuori la questione del prezzo, perché è chiaro, il nostro San Marzano ha il suo prezzo…e ci siamo capiti. Ma il punto è che se il pomodoro ti arriva a 0,80 centesimi (come succede in certi casi) vuol dire che qualcuno sta soffrendo: o il lavoratore o il terreno, se non entrambi. Per noi la questione è semplice: nessuno si dovrebbe arricchire sulle spalle degli altri. Anche perché coltivando delle unicità tipiche solo del nostro territorio, come facciamo noi, sicuramente non creiamo ulteriore competitività nel mercato. Ci si rispetta, tra colleghi, tra lavoratori onesti, e si rispetta chi lavora la tua terra. Bisogna anche scegliere di mettere in tavola per i propri clienti un prodotto etico e sano, dovrebbero capirlo tutti a prescindere dal prezzo del prodotto in questione.

Ma notavo che sui vostri vasetti ci sono scritte pochissime cose…Il nome dell’azienda…Naturalmente il riconoscimento Slow Food…Ma la cosa interessante sta alla voce ingredienti…

Sì, be’, sui nostri vasetti alla voce ingredienti c’è scritto solo “pomodoro”. Se i vasetti sono quelli di passata allora c’è scritto “passata di pomodoro”, ovviamente. Cioè, correggimi se sbaglio, ma se coltivo e commercio pomodoro, cosa diavolo dovrebbe esserci d’altro nei miei vasetti? 

Esatto, zio pepe! E vedi, anche solo questa cosa giustifica la specialità del tuo San Marzano e, scusami se mi permetto, anche il prezzo. Basta poco ai ristoratori per fare il salto e impiegare prodotti come il tuo, di qualità, veri, naturali. L’obiettivo è questo, no? Quello di far capire ai ristoratori (ma anche ai produttori) di credere nella terra. Ma come si fa?

Come si fa ad arrivarci? Con l’educazione. Ogni evento in cui siamo coinvolti come azienda ed associazione lo sfruttiamo per “educare” chi assaggia il nostro prodotto, con vari chef ed esperti. Però aspetta, cioè, per chef noi intendiamo le signore delle nostre parti che sanno fare una polpetta come si deve, mica alta cucina. Cose semplici, capito, per far capire che mangiare bene lo si può fare anche con quello che si ha in dispensa…Ma a parte questo…Dobbiamo far capire che meno massacriamo il prodotto meglio è. Meno forziamo la terra meglio è. Le scuole, le associazioni devono insegnare ai ragazzi a lavorare e a conoscere la storia dei prodotti. Fino a un paio di anni fa c’era la piaga del fast food, ma ormai si è capito che il fast food non fa per l’Italia – almeno non qui al sud -, ma è anche chiaro come le risposte siano tutte quante davanti ai nostri occhi. Non possiamo permetterci di non prendere sul serio ciò che mangiamo ogni giorno. 

Parlami un po’ del tuo pomodoro… 

L’antico pomodoro di Napoli può pure non piacere, può anche essere, ma chi assaggia il nostro pomodoro mangia una cosa che non esiste da nessun’altra parte. E voglio dire che il San Marzano è uno dei pomodori più ruffiani al mondo. Lo puoi trattare come vuoi: stra-cuocerlo in un ragù, mangiarlo fresco, usarlo per uno spaghetto veloce, metterlo sulla pizza come fai tu. Ma rimane lui, non si snatura. Il San Marzano è creato per questo, per essere versatile. Poi vabbè, che dire, è veramente tanto, tanto, tanto buono. Però c’è anche da dire una cosa, per ricollegarmi alla questione dell’educazione di cui parlavamo prima: un piatto lo puoi fare con dei prodotti eccezionali, sì, ma una persona deve sapere, ad esempio, che per schiacciare un pomodoro non serve un coltello, ma che deve usare le mani…

Chiaro, come dire: ci vuole un certo manico…E per il futuro, invece? Cosa vedi nel tuo futuro?

Il nostro futuro è tutto in ascesa. Il prodotto è ormai conosciuto. Non abbiamo esigenza di farlo girare più di quanto non faccia già. Resta solo la questione di abituare il consumatore ad avere a che fare con prodotti più ricercati, come si diceva prima. Ma non solo per quanto riguarda il pomodoro, sia chiaro. Le persone hanno bisogno di un buon olio, di una buona pasta di Gragnano, di un buon aglio, di un ottimo sale. C’è già tutto, basta solo cercare.  

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